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Questa è la biografia dell'Artista Mario Eremita, palesemente apologetica, parziale e soggettiva.
Del resto come può essere imparziale ed obiettiva una biografia?
Chi la scriverà darà sempre risalto a quello che più sarà funzionale all'obiettivo che si è posto. L'obiettivo di questa è di testimoniare fedelmente della vita dell'Artista. La prospettiva è quella di chi ci ha vissuto a fianco per oltre quarant'anni. Forse, nonostante l'intento apologetico, sarà la più autorevole biografia disponibile.
Mario Eremita nasce il 18 Ottobre 1942 a Villafranca Lunigiana in provincia di Massa Carrara ( Toscana ).
Poco dopo la nascita di Mario, la famiglia si trasferisce in Romagna: prima a Sant'Arcangelo e poi a Rimini, città in cui l'Artista trascorrerà la prima parte della vita: l'infanzia, la fanciullezza, l'adolescenza.
Bambino particolarmente dotato del talento manuale. Adolescente già padroneggia le tecniche dell'arte figurativa nonchè dell'arte musicale. Oggi ama spesso ricordare l'infanzia dei pomeriggi passati assieme allo zio Antonio a dipingere "en plein air", sul lungomare di Rimini e tra le rovine malatestiane.
Produce, prima dei quindici anni, un'ammirevole collezione di disegni a tempera su carta, di cui alcuni conservati tutt'ora, nei quali si evince una forza espressiva singolare e una capacità d'osservazione propria solamente del genio.
Nel periodo della fanciullezza si dispiega la particolare predilezione per le immagini le forme e i colori del mondo. I ricordi di contemplazione sono quelli che Eremita ama richiamare: i momenti in cui era incantato dalle opere della natura e soprattutto da quelle dell'uomo.
La sua sensibilità è delicatissima e originale e non manca di accusare i colpi di una realtà che, inevitabilmente, diviene oppressiva e limitante.
È la realtà italiana dei primi anni sessanta, arretrata, borghese, provinciale; oppure ideologizzata e colma di pregiudizi, d'ignoranza, di grettezza; molto lontana dall'italica magnificenza del Rinascimento, dell'Umanesimo.
Un'Italia che fatica a risollevarsi dalla guerra, che non riuscirà più a riavere il ruolo di faro della cultura e dell'arte rispetto al resto del mondo ed in particolare agli Stati Uniti di cui diverrà serva silenziosa.
Difficile, in seguito, per Mario Eremita, sarà il confronto con la scuola che egli individua come il fulcro della società e l'unica possibile speranza di rinascita e di sviluppo morale e intellettuale del Paese. Egli respinge il contesto autoritario degli ambienti educativi dell'epoca, anche perché questi non sono assolutamente in grado d'incoraggiare, valorizzare e motivare, l'espressione della sua particolare personalità e dei suoi innati talenti.
La condanna dell'autoritarismo della scuola e della sua mancanza di autorevolezza, che ne fa un ambiente inadatto alla realizzazione dell'individuo, sarà una costante nei contenuti dell'arte di Eremita.
Chissà, sarà stata l'influenza di Tonino Guerra, che frequentava la famiglia e lo tenne in braccio, sarà stata l'influenza della Romagna, quel mondo sognante ma con i piedi ben piantati per terra, che diede la luce al genio di Federico Fellini; sarà stata questa pesante polemica, sorta fin dalla tenera età, nei confronti delle istituzioni che dovrebbero formare l'individuo; tant'è che Eremita venne assorbito dall'implacabile amore per la raffigurazione della Condizione Umana.
Durante l'adolescenza sperimenta una breve esperienza politica nel Partito Comunista che s'interrompe bruscamente, non appena egli riscontra che le idee e gli ideali non pongono al centro l'umanità ma sono solamente abili dispositivi dialettici per mascherare la mediocrità, gli interessi personalistici, la sete di potere che si fa forza di una crescente ed incontrollabile violenza.
Già sufficientemente disgustato; ma ancora giovane uomo pieno di risorse, sfrutta il suo talento musicale e viaggia per l'Italia ed il Mondo come musicista e cantante. Fonda anche la sua band: "Gli Eremiti"; che riscuote successi nella vivace e ancora dolce, vita della riviera romagnola degli anni sessanta. Entra in contatto con molti personaggi di quegli anni tra i quali anche Mina e Fred Buscaglione; ma rimane schivo, rinunciando alle possibili occasioni di "sfondare".
Eremita intraprende quindi gli studi di Architettura al Politecnico di Milano. Tuttavia, ormai disincantato, con l'inizio della contestazione del 1968, appoggiando pienamente le tesi di Pier Paolo Pasolini, alla sterile diatriba pubblica ed agli intenti distruttivi di uno sviluppo senza progresso che porterà l'arte ad essere asservita ad intellettualismi ideologici e distaccati dalla realtà, Eremita preferisce gli antichi ideali del Rinascimento e dell'Umanesimo delle Arti Italiane ed a questi egli dedica il suo lavoro di artista che necessariamente finirà col coincidere con la propria vita.
Di questi ultimi anni dei "sessanta" sono le prime opere espressioniste, tecniche miste olio e sabbia di mare e disegni tecnica mista.
La pittura e la scultura divengono la motivazione ed il centro della sua esistenza; essendo questa la sua interpretazione della realtà, la sua weltanschauung. Egli rifiuta ciò che ritiene essere un bluff: il contenuto che sovrasta la forma.
Egli ritiene che non possa esistere alcun contenuto se l'artista non ha sedimentato la sua esperienza nell'elaborazione delle tecniche e senza quindi aver messo alla prova il proprio talento; ma non solo. Egli ritiene che sia decadente e inutile la figura dell'artista naif, sostanzialmente privo di cultura ma in preda ai propri istinti, o quella dell'artista privo di talento manuale ma spinto solamente dall'impellenza del contenuto che spesso è ridotto alla cosidetta "arte militante".
La musica, invece, rimane la sua seconda irrinunciabile musa, il momento della liberazione catartica e grazie a questa sua passione, Eremita trascorre un intenso periodo di lavoro in Libano dal quale anche la sua espressività formale riceve possente slancio.
La cultura ed i caldi colori medio orientali arricchiscono l'immaginario dell'artista lasciando un segno profondo. Gli effetti di questa contaminazione sono visibili in tutte le opere dell'artista, sia dal punto di vista formale che per i contenuti. Quei luoghi, caratterizzati da forti differenze sociali, se possibile acuiscono la sensibilità dell'Artista per la Condizione Umana di cui ancor più egli testimonia nelle sue opere.
Significativi i disegni a carboncino dedicati ai bimbi libanesi, che tesimoniano delle condizioni difficili in cui vivevano, accanto ad una sferzante e sfacciatissima ostentazione di ricchezza degli occidentali.
Colta un'ottima opportunità sempre nel campo della musica, Eremita si trasferisce in Inghilterra dove ha occasione di sperimentare quei dinamici e stimolanti ambienti dell'arte contemporanea e del mondo della musica.
È inquieto e forse ha nostalgia della sua terra, così rientra in Italia e conosce Rinalda Truffi, la donna che diverrà sua moglie e che lo affiancherà nel complesso lavoro delle pubbliche relazioni, dedicando a ciò gran parte della propria vita professionale.
Mario Eremita pur continuando il suo lavoro d'artista decide d'intraprendere la carriera d'insegnante e di rientrare in quel mondo che, nel passato, aveva assunto un ruolo negativo e ostile. La sua intenzione è di contribuire, con la sua esperienza di vita, all'educazione dei giovani. Si dedica quindi all'insegnamento del Disegno e della Storia dell'Arte.
Nella scuola italiana tuttavia egli riscontra ancora gravi carenze che penalizzano l'apprendimento e la maturazione degli allievi. L'artista, spinto dalla sua integrità morale s'oppone a questo generale lassismo ed all'ambiente pregiudizievole.
Eremita quindi, forte dei suoi talenti, introduce degli innovativi metodi d'insegnamento, basati sull'autoresponsabilizzazione, la manualità, il lavoro di squadra, la valorizzazione delle personalità pragmatiche. Grazie ad un innato carisma crea un legame profondo con gli allievi.
Tutto ciò, come già fece l'esperienza della musica, si riversa nella primaria speculazione: l'arte figurativa. Nell'ambiente della scuola la vastità dell'immaginazione e l'immenso dono della capacità di sintesi e di osservazione di Eremita si dilatano in una varietà geniale di soggetti arricchendosi di una nuova particolare espressività: la satira. Essa si unisce alla pittura, alla scultura, alla musica in un insieme avvincente.
È infatti proprio grazie a quell'esperienza professionale che egli sviluppa e consolida l'aspetto fondamentale dell'arte figurativa: il tema della Condizione Umana. Era già innescato questo vastissimo contenuto nell'infanzia dell'artista.
Il periodo dell'insegnamento segna una lunga fase di attività. Il ruolo di educatore, che egli assume con grande autorevolezza, competenza e umanità, fa maturare l'artista e ne rende un efficace interprete della vicenda umana.
Eremita, raggiunta una completa maturità di artista, a quarant'anni introduce la sua personale pittura assolutamente slegata da qualsiasi corrente o moda; scevra di qualsiasi patrocinio o condizionamento politico, libera da visioni ideologiche parziali e schierate. Eremita compie la sua arte come un'esigenza esistenziale, come il bisogno di dare testimonianza, prima a sé medesimo e quindi al mondo. In questo senso la sua arte è una pratica ascetica, ha una funzione apotropaica e liberatoria.
Nasce una collezione di dipinti su tela di potenza inaudita. Forti di una tecnica perfetta, di una padronanza totale del colore e di un'impellente motivazione nei contenuti. La collezione intera sarà raccolta in una mostra presso Cà Da Noal a Treviso nel 1978 che diverrà la più visitata dopo quella di Gino Rossi, il grande Maestro della pittura veneta dei primi del novecento.
In occasione di questa importante mostra, tra i più significativi, vengono pubblicati i seguenti titoli: "Condizione Umana indegna dell'Uomo"; "Iniziazione alla violenza"; "a quel tarlo che chiamano pensiero".
Le sue opere si prestano ad una ampia lettura sia dal punto di vista tecnico formale che nel campo del dibattito culturale: essendo ognuna una sorta di compendio etico e morale, arricchito da laceranti provocazioni dissacratorie e potenti risvolti ironici e sarcastici. Le sue opere per qualità e profondità dei riferimenti contenutistici e formali, vengono spesso associate alla letteratura ed alla musica.
Esse rappresentano il nostro mondo ma lo rifanno in una visione deformata attraverso gli occhi della verità implacabile e dissacrante, ironica e rivelatrice dell'artista che, in tal senso, recupera il suo ruolo.
Al culmine della sua esperienza nella scuola, Eremita è regista e sceneggiatore di due opere teatrali interpretate entrambe dagli studenti. La prima è tratta da un racconto di Hermann Hesse e intitolata "Straordinarie notizie da un altro pianeta"; la seconda è ispirata alla vita di San Francesco d'Assisi intitolata "Laudato sie mi Signore". Le opere vengono replicate nel Teatro Comunale e nella Chiesa di San Francesco a Treviso.
Alla metà degli anni Ottanta Eremita si ritira dall'insegnamento per dedicarsi interamente alla propria arte, aprendo un lungo ciclo produttivo tutt'ora in fieri.
La vastità della sua opera è testimoniata dalla capacità di confrontarsi con tecniche molteplici. Seguendo l'insegnamento di Federico Zeri, per l'artista non vi sono arti minori ma c'è solamente il "mestiere dell'artista" e la "vita" vissuta come tale.
Dal 1990 inizia la collaborazione dei suoi due figli Nicola e Michelangelo che apprendono il mestiere dell'arte. Mentre il primo s'interessa del mercato, della divulgazione e dello studio critico, il secondo predilige seguire la strada più simile a quella del padre.
Si forma così un piccolo laboratorio d'arte ispirato alle antiche botteghe del Rinascimento Italiano. Mario Eremita entusiasta rivolge la sua immaginazione anche ai metalli preziosi e, nell'arco di 30 anni è autore di decine di migliaia di opere di grafica, scultura, pittura, incisione.
La maggior parte di quelle opere vengono alienate in un particolare mercato di singoli appassionati Collezionisti, di Istituzioni e Aziende Pubbliche e Private nella più totale indifferenza delle Gallerie d'Arte, delle Case d'Asta, delle Fondazioni e di tutte le Istituzioni che formalmente intendono occuparsi di Arte Contemporanea.
Nel 1992 saluta la città di Treviso con la mostra a "Casa dei Carraresi" in occasione della quale espone il dittico "2agosto1980", la Guernica italiana dedicata alla strage alla Stazione Ferroviaria di Bologna del 1980.
Eremita, così come molti altri simili a lui, sperimenta l'anacronismo della propria dimensione artistica, al cospetto di una granitica indifferenza di coloro i quali, nell'ufficialità del loro ruolo, pretendono di essere divulgatori del mondo delle arti e di occuparsi in particolare di Arte Contemporanea. Responsabilità vanno individuate in molti che non hanno saputo o voluto vedere e si sono barricati nella loro vigliaccheria.
Consapevoli della durezza dell'ambiente "culturale" delle arti ma anche dei grandi talenti del padre e di loro stessi, i due figli, nel 2001 fondano la Galleria d’Arte III Millennio che si occuperà principalmente di Mario Eremita ma che allargherà presto la propria attività espositiva a centinaia di altri artisti italiani e stranieri, dando a molti giovani artisti l'opportunità di confrontarsi con l'esposizione pubblica delle proprie opere.
Le opere di Mario Eremita si trovano presso il Museo d'Arte Moderna di Beirut, la Galleria Civica di Foggia la Quadreria "Cesarini" di Fossombrone, il Museo Civico "Bailo" di Treviso, la Galleria Nazionale d'Arte di Sofia Bulgaria.
Le opere dell'artista sono citate tra i beni culturali della Regione Marche.
Dal 2005 Mario Eremita è nel Dizionario Enciclopedico "Arte" Rizzoli Larousse.
Opere dell'artista sono in possesso di collezionisti e personalità pubbliche di tutto il mondo.
Oggi l'artista vive e opera a Venezia.